L’istituto del trust, che deriva dai sistemi di common law, trova una diffusione sempre maggiore anche all’interno del nostro ordinamento, soprattutto in ambito aziendale. Si pensi alla necessità di gestire la successione della società di generazione in generazione.
Cos’è il trust nello specifico? Il termine, letteralmente, significa “fiducia” e sta ad indicare una complessa operazione che nasce da un atto dispositivo inter vivos o mortis causa, in forza del quale il disponente (il cosiddetto “settlor”) trasferisce la totalità o una sola parte dei propri beni ad un altro soggetto, detto “trustee”. Il negozio giuridico produce un effetto traslativo e, al tempo stesso, obbligatorio, in quanto con esso il “trustee” si impegna ad amministrare i beni trasferiti, a gestirli secondo quanto previsto nell’atto istitutivo del trust, nell’interesse di un terzo (detto “beneficiary”). Tendenzialmente il trust aziendale prevede anche il coinvolgimento di un soggetto controllore, cosiddetto “protector”, il quale ha lo specifico compito di supervisionare se l’operato del “trustee” sia conforme alle regole dettate dal disponente e, in caso di esito negativo, procedere alla sua revoca.
In ambito aziendale si ricorre frequentemente al trust, con lo scopo precipuo di assegnare la gestione dell’azienda, alla morte dell’imprenditore capostipite, solitamente a chi tra gli eredi si sia dimostrato più incline ad assumere il comando dell’impresa. Si pensi, ad esempio, al caso in cui il capo dell’azienda deceda: con il trust si individua il soggetto o i soggetti che hanno il compito di amministrare e gestire i beni societari post-mortem.
La disciplina del trust aziendale trova, comunque, importanti limiti nella disciplina successoria contenuta all’interno del codice civile. Nel nostro ordinamento, infatti, vige una serie di regole inderogabili, che disciplinano la successione necessaria. In altri termini, vi sono dei soggetti, tra cui compaiono il coniuge, i figli e, in assenza di questi, gli ascendenti, cui deve essere necessariamente riservata una quota di asse ereditario stabilita, anche in deroga ad un eventuale un testamento che disponga diversamente.
Sia nel caso di successione ab intestato che di successione testamentaria, i legittimari hanno diritto alla cosiddetta quota di legittima. Occorre, inoltre, precisare che il patrimonio del de cuius su cui si apre la successione non è solo quello effettivamente esistente al momento della sua morte. L’asse ereditario deve essere ricostituito nella sua integralità, considerando anche gli atti dispositivi che il defunto ha effettuato in vita. Vi sono atti, come quelli compiuti per causa di liberalità, che sono inefficaci ex lege nel caso in cui siano utilizzati per sottrarre al patrimonio determinati beni ed eludere la disciplina successoria. Attraverso la sanzione dell’inefficacia dell’atto dispositivo, infatti, si ripristina l’integrità del patrimonio del de cuius, su cui potranno poi soddisfarsi gli eredi legittimari.
La quota di legittima, infatti, viene calcolata sul patrimonio che il de cuius avrebbe avuto se non vi fossero stati atti di liberalità che ne hanno alterato la consistenza. Tra questi compaiono pure gli atti con cui il de cuius istituisce il trust liberale. Tramite questa operazione, infatti, viene creato un patrimonio separato che non può essere aggredito dai creditori e dagli aventi causa dal disponente. Per evitare di pregiudicare gli eredi legittimari, in elusione della disciplina successoria inderogabile, pertanto il trustee deve tenere in considerazione che potrà disporre dei beni del trust nella misura in cui vengano comunque rispettate le quote riservate.
In altri termini, il trust aziendale non è di per sè incompatibile con la disciplina successoria prevista dal codice civile, ma occorre verificare caso per caso se la quota di legittima è rispettata, con la precisazione che i legittimari hanno diritto di contestare le attribuzioni in violazione della loro quota, attraverso una specifica azione sottoposta a termine prescrizionale ordinario decennale. Solo nel caso in cui gli eredi rinuncino all’azione o decorra inutilmente il termine entro cui possano far valere le proprie ragioni, si consolidano gli effetti del trust.
Ciò premesso, consideriamo le ipotesi più frequenti in cui si ricorre al trust aziendale. Come detto, a questa operazione si affida molto spesso il passaggio generazionale dell’azienda. Sempre più spesso, infatti, le azioni societarie o le quote di società a responsabilità limitata di proprietà dell’imprenditore vengono trasferite e gestite da un “trustee” in funzione del passaggio generazionale dell’impresa. Il trust, in altre parole, permette di risolvere ipotesi di dissidio familiare o altre situazioni patologiche che potrebbero dare origine a problematiche e contestazioni in fase di trasmissione ereditaria. Si pensi ai casi più comuni in cui uno dei figli sia un soggetto poco incline all’impegno o comunque incapace nella gestione aziendale, oppure ad un caso di matrimonio non tollerato da parte di un membro della famiglia, oppure al caso dell’imprenditore che abbia contratto diversi matrimoni dai quali ha avuto più figli, magari di età diverse.
In tutte queste situazioni, affidare la gestione di tutti o di alcuni dei propri beni ad un “trustee” è la soluzione più utile, affinché questi li amministri nell’interesse di chi viene ritenuto in quel momento non idoneo a farlo, per evitare dissipazioni del patrimonio o altri effetti pregiudizievoli, per mantenere intatto il valore dell’azienda e procedere poi all’assegnazione definitiva in base alle capacità e al merito del singolo beneficiario.